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We shall overcome (maybe) Un fiume di dollari per salvare l’economia del lavoro statunitense, puntando sui servizi alla persona e le riqualificazioni professionali da impiegare nella produzione di energia pulita e di un’economia ecocompatibile Riusciranno gli Stati Uniti di Obama a superare entro due anni la gravissima crisi occupazionale che si è abbattuta sul paese (e sul mondo)? Da uno studio che prende in esame il piano (A. Barboni e M. Zagordo, “Il piano anticrisi di Barack Obama. Il mercato del lavoro negli Stati Uniti in tempi di recessione”, Bollettino Speciale Adapt, 5 febbraio 2009) apprendiamo che ad oggi, secondo il Bureau of Labor Statistics, sono 2,6 milioni i lavoratori che negli Usa hanno perso il lavoro (1,6 milioni solo nell’ultimo quadrimestre). Le più colpite dalla disoccupazione sono le industrie manifatturiere, settore auto in testa, e l’edilizia. Tiene il settore dei servizi (esclusi, ovviamente, quelli finanziari) e sono addirittura in crescita i servizi alla persona - nella sanità e nell’istruzione sono per i due terzi donne - dove gli occupati sono passati da 18,327 milioni nel 2007 a 18,878 milioni nel 2008. Rispetto a quella maschile è quindi l’occupazione femminile a reggere meglio l’urto in atto. Il piano dell’amministrazione Obama investe una gran quantità di denaro in misure per la creazione in un biennio tra i 3,3 e i 4,1 milioni di posti di lavoro. American Recovery and Reinvestment Plan è il nome del pacchetto di circa 775 miliardi di dollari, che prevede misure raggruppabili in sei differenti settori:
Stando alle elaborazioni di un modello matematico utilizzato dal Bureau of Economic Analysis, gli interventi previsti dovrebbero creare lavoro in tutti i settori: edilizia (+678mila), commercio al dettaglio (+604mila), settore alberghiero e industria dell’intrattenimento (+498mila), manifatturiero (+408mila). Interessante notare come il 30% dei nuovi lavori si creerebbero nei settori a più alto indice di sindacalizzazione, l’edilizia e il manifatturiero. Grande attenzione è rivolta ai cosiddetti Green Jobs, volti a realizzare indipendenza energetica e un’economia ecosostenibile attraverso strategie quali il riadattamento degli edifici, i trasporti a grande capacità, gli autoveicoli ad alta efficienza energetica, l’energia eolica, l’energia solare e i biocombustibili. Tutti settori in cui potrebbero essere riconvertiti, con riqualificazioni e crescita professionale, figure tradizionali quali carpentieri, elettricisti, metalmeccanici. Figure professionali altamente qualificate, salari migliori e maggiore mobilità sarebbero i vantaggi. A questi vantaggi va aggiunto il fatto che secondo un’analisi condotta dall’Hearth Policy Institute, gli investimenti in questi settori di produzione energetica creano molti più posti di lavoro che non investendo nell’energia nucleare o nell’industria carbonifera: rispettivamente 26 volte e 30 volte di più.
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Num 89 Marzo 2009 | politicadomani.it
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